
Quella volta che a Genova...
Il capodanno del 2009 cadeva in periodo molto delicato della mia vita, una di quelle fasi di transizioni in cui si è poco propensi ad essere ottimisti e ben disposti verso il futuro. Avevo perciò deciso di ignorare ogni tipo di festa (probabilmente frequentata da centinaia di perfetti sconosciuti che per una notte avrebbero finto di essere i miei migliori amici per poi dileguarsi per sempre alle prime luci dell'alba) per isolarmi dal mondo. Avevo letto alcuni giorni prima che proprio quella notte, nel capoluogo ligure, avrebbero inaugurato la prima grande mostra dedicata a Fabrizio De Andrè, mia grande passione. le recensioni parlavano di un allestimento colossale che abbinava cimeli, proiezioni, ascolti e ambienti interattivi: decisi che ci avrei passato la notte. Alle quattro del pomeriggio sono salito su di un treno...direzione Genova.
Una volta arrivato, mi mischiai alla folla che percorreva le strade anguste che dalla stazione, attraversando la città vecchia, conducevano a Palazzo Ducale, sede della mostra. Assaporai lentamente l'aria salmastra che si mischiava alle fragranze esotiche che fuoriuscivano dalle abitazioni e dai negozi di alimentare. Passo dopo passo, pensiero dopo pensiero, arrivai a destinazione. Rimasi all'interno degli spazi espositivi per oltre cinque ore (il brindisi ci fu gentilmente offerto dagli organizztori) assieme a centinaia di appassionati cultori di Faber che, soli o in compagnia, avevano deciso salutare il nuovo anno nel mio stesso modo.
Alle 3 in punto, orario di chiusura, mi ritrovai per la strada, solo. Dopo aver acquistato un mojito al lounge bar di Palazzo Ducale, mi avviai verso il Porto Antico. Passo dopo passo, realizzai che ormai da alcune ore stava nevicando. Dal cielo la neve scendeva lenta, soave. Nonostante ci fosse ancora parecchia gente per le strade, il silenzio era talmente forte che i pensieri tumultuosi e pessimistici che avevo in testa, improvvisamente si calmarono, rapiti dal senso di pace che li aveva avvolti. Giunto finalmente in riva al mare, mi fermai a fissare l'orizzonte, ammirando la fitta nevicata che dava l'impressione di poter coprire anche le acque quiete del porto.
Quella notte ritrovai me stesso. Ero finalmente sereno, libero, con obiettivi puliti e ambiziosi da raggiungere. Quella notte ho capito l'importanza che avrebbe avuto una ragazza che avevo conosciuto da pochi giorni, tant'è che qualche anno più tardi quella stessa ragazza sarebbe diventata mia moglie. Quella notte ho trovato la forza, il coraggio e la determinazione per salire su un palco, imbracciare una chitarra e suonare davanti ad un pubblico formato da esseri umani in carne, ossa e senso critico. Soprattutto, quella notte, ho capito con non bisogna mai perdere la speranza e che dopo ogni notte c'è sempre un giorno nuovo all'orizzonte.
Rimasi immobile sino alle prime luci dell'alba. Forse mi presero per pazzo. Forse nessuno si accorse della mia presenza. Poi mi voltai, strizzai l'occhio ad una Genova che ancora dormiva sonni profondi, e mi avviai verso la stazione.
E fu così che venne la sera
sole esangue sopito sul mare
lacrime di luna all'orizzonte
riflesse negli occhi di Genova.
Poi il buio avvolse la città vecchia
dedalo sopito d’antica memoria
covo di ladri, poeti e senzadio
anime salmastre perse nell’oblio.
La brezza pungente sale dal mare
S’insinua sibilando nei vicoli
arrossendo le temerarie gote
delle ragazze di Piazza delle Erbe.
Col nuovo anno ormai alle porte
l’aria si riempie di canti e risa
palazzo ducale a far da cornice
all’elogio di Faber, mito senza età.
E quella notte che a Genova ho sentito battere il mio cuore
E quella volta che a Genova ho capito cos’è il vero amore
E quella volta che a Genova ho imparato persino a volare
E quella volta che a Genova ho visto la neve cadere
Una notte intima e silenziosa
lontano da falsi riti di massa
dalle orge care al consumismo
all’ombra quieta della lanterna.
Allo scoccare della mezzanotte
una sirena sbuffa in lontananza
persa tra le crepe di Caricamento
dolente congedo all’anno che fu.
D’un tratto mi ritrovo per la strada
rapito da una candida visione
la neve cadeva lenta, soave
suoni ovattati d’infinita pace.
Lungo i moli del porto antico
rimango solo con i miei pensieri
lo sguardo al di là dell’orizzonte
oltre il cielo prossimo all’aurora.
E quella notte che a Genova ho sentito battere il mio cuore
E quella volta che a Genova ho capito cos’è il vero amore
E quella volta che a Genova ho imparato persino a volare
E quella volta che a Genova ho visto la neve cadere
E quella notte che a Genova ho sentito battere il mio cuore
E quella volta che a Genova ho capito cos’è il vero amore
E quella volta che a Genova ho imparato persino a volare
E quella volta che a Genova ho visto la neve sul mare